Capita che un amore finisca e che ci si trovi a dover gestire un divorzio con tutte le sfaccettature che un evento di questo tipo può avere.
Sono momenti difficili in cui tutto deve essere pesato per le conseguenze che potrebbe generare. Ogni azione viene analizzata in ogni dettaglio da ciascun ex coniuge ed ognuno dei due cerca la soluzione che può farlo stare meglio massimizzando quello che può.
Si tratta su ogni aspetto, compreso quello economico. L’assegno divorzile ne è una componente.
Da qualche anno la giurisprudenza ha cambiato i principi su cui si basa l’elargizione dell’assegno divorzile e bisogna fare i conti anche con questo cambiamento.
Il principio del tenore di vita è stato abolito.
Oggi il principio è quello della sussistenza economica, riconosciuta se non si è in grado oggettivamente di trovare occupazione per mantenersi.
E’ un salto di paradigma radicale. Oggi, per definire le condizioni economiche del divorzio, si prescinde dalla ricchezza del coniuge e si valuta oggettivamente l’autosufficienza economica della persona tenendo conto dei redditi percepiti, degli asset patrimoniali, delle capacità di lavoro effettive e della disponibilità di un’abitazione.
Il tenore di vita è un principio valido ancora solo per i figli della coppia che sta divorziando.
In alcuni casi il giudice può riconoscere all’assegno divorzile una funzione compensativa se il coniuge ha rinunciato, durante il matrimonio e di comune accordo con l’ormai ex coniuge, alla propria realizzazione personale e professionale, ad esempio per seguire le esigenze dei figli.
L’assegno divorzile, oggetto di tanto contendere fra ex coniugi che, fino a poco tempo fa, potevano rilanciare sul tenore di vita pregresso in funzione dei propri obiettivi, oggi diventa un elemento che rimanda all’impossibilità oggettiva di badare a sé stessi.
L’assegno divorzile può essere periodico oppure può essere pagato “una tantum”. In quest’ultimo caso, l’ex coniuge viene liquidato con un unico assegno oltre il quale non si deve pagare più nulla periodicamente.
Per colui che deve pagare l’assegno, l’uno è inesorabilmente più convenite dell’altro.
Ci sono 3 precisi motivi per cui chi deve pagare dovrebbe cercare assolutamente di accordarsi per evitare l’assegno periodico e pagare invece l’assegno “una tantum”. Sono naturalmente i 3 motivi per cui chi deve ricevere l’assegno dovrebbe cercare di ottenere esattamente il contrario.
Se paghi un assegno divorzile periodico, nel caso in cui tu venga a mancare, il tuo ex coniuge ha il diritto di rivolgersi al giudice per avere la possibilità di continuare a percepire l’assegno periodico dai tuoi eredi, indipendentemente dall’importo dell’assegno stesso.
Se paghi un assegno divorzile periodico, nel momento in cui percepirai il TFR o un trattamento indennitario simile, il tuo ex coniuge ha diritto ad averne una parte che dipenderà anche dal numero di anni in cui siete stati sposati.
Se paghi un assegno divorzile periodico e ti sei risposato, nel caso in cui tu venga a mancare, il tuo ex coniuge ha diritto ad una parte della pensione di reversibilità che spetta al tuo successivo coniuge il quale, tra l’altro, non percepirà nulla fintanto che il giudice non ha stabilito l’importo dei due assegni.
L’assegno divorzile una tantum annulla tutti e tre questi possibili scenari. Non c’è nessun diritto ulteriore rispetto ad esso.
Queste sono le differenze sostanziali dell’uno rispetto all’altro.
Ciò non toglie che, prima, durante e dopo la crisi matrimoniale, tanto si possa fare per cercare di “limitare” i danni. Sia che tu sia l’ex coniuge che deve pagare l’assegno divorzile, sia che tu sia l’ex coniuge che lo riceverà.
Devi essere connesso per inviare un commento.