In questo nuovo mondo, attorno a cui sono alla ricerca di equilibrio un’inflazione galoppante e cruente politiche di rialzo dei tassi, tornano ad essere oggetto d’interesse non solo le nuove obbligazioni con cedole più attraenti di quelle “vecchie” ma anche i fondi a scadenza con cedola.

Attorno a questi ultimi, esistono ancora errate percezioni e l’occasione del “nuovo mondo” mi permette di fare chiarezza su alcune loro caratteristiche … dolcetto o scherzetto?

Come soluzione d’investimento, i fondi a scadenza con cedola sono stati ampiamente utilizzati negli ultimi anni (tutt’ora lo sono). Dati del 2015 parlano di oltre 40 miliardi di euro investiti su questo tipo di strumento solo in quell’anno.

Le ragioni che hanno generato così tanto apprezzamento risiedono nelle loro tre caratteristiche principali:

  1. Il basso costo. Sembrano, in genere, un prodotto senza commissioni d’ingresso.
  2. Il tempo definito in cui si è investiti. La certezza sul tempo d’investimento li avvicina allo strumento d’investimento più conosciuto dagli italiani: il BTP, con i suoi chiari e determinati anni di scadenza.
  3. La remunerazione periodica. All’investitore riconoscono una cedola periodica proprio come il meglio conosciuto BTP.

La struttura dei fondi a scadenza con cedola, così simile al noto BTP, ne ha indubbiamente favorito la diffusione. D’altro canto, il Btp è lo strumento d’investimento entrato nelle case di quasi tutti gli italiani, è facile da comprendere e già solo il nome evoca tempi in cui la cedola era una ghiotta remunerazione a doppia cifra.

Eppure, i fondi a scadenza con cedola non sono la stessa cosa. Almeno per altrettanti 3 motivi.

L’ipotetica assenza di commissioni d’ingresso va chiarita meglio. Esse, generalmente sono “spalmate” sull’intero periodo dell’investimento: di conseguenza, questo genere di commissione è meno evidente all’investitore. In effetti, se si decide di disinvestire prima della scadenza, si paga una sorta di penale la quale altro non è che quella parte di commissione d’ingresso che il cliente dovrebbe ancora pagare per il restante periodo d’investimento.

Il preciso periodo di investimento non è, in realtà, sempre così definito. Il lasso di tempo di solito prospettato è il periodo minimo in cui il risparmiatore deve rimanere investito per non pagare penali di uscita, previste proprio in caso di disinvestimento prima del termine indicato. Giunti alla fine del periodo così individuato può accadere che l’investitore continui a rimanere investito, salvo sua precisa volontà di disinvestire. Il fondo prosegue nella sua esistenza; a volte, viene fuso in un altro prodotto. Sarebbe più chiaro parlare di “vincolo temporale” anziché di “scadenza” dell’investimento.

Il rimborso del capitale “a scadenza” può celare amare sorprese. Il terzo motivo è quello che spesso manda in vera confusione le persone: al “termine” dell’investimento, se l’investitore chiede il rimborso di capitale, si aspetta generalmente di ricevere il capitale originariamente investito, proprio come accade se investi in un Btp all’emissione e lo detieni fino a scadenza. Sempre più sovente, tuttavia, accade che le persone si vedano rimborsare un capitale inferiore rispetto all’originaria somma investita. Perché? La ragione è da ricercare nel pagamento della cedola periodica. Quella cedola non è, in realtà, “tutta” cedola ma comprende anche una parte del capitale dell’investitore. Così, il capitale a scadenza risulta necessariamente ridotto dell’importo rimborsato periodicamente.

Perché accade questo? Cerco di spiegarlo in modo semplice per agevolare la comprensione anche ai “non addetti ai lavori” ma ugualmente investitori in questi strumenti. La cedola, generalmente, viene pagata anche quando le obbligazioni all’interno del fondo non hanno una cedola corrispondente a quella promessa all’investitore ed il fondo, per ragioni di mercato, non ha avuto una performance tale da sopperire a quel pezzetto di cedola che non spetterebbe all’investitore.

Gli viene sostanzialmente pagato un importo che è pari in parte alla minore cedola maturata ed in parte ad un “pezzetto” del suo stesso capitale. Questo pezzetto di capitale, essendo restituito nel corso del periodo di investimento, non viene restituito una seconda volta a scadenza.

Qui nasce un ulteriore importante problema. Su questa cedola, così composta, il cliente paga tasse. Quindi, paga tasse sul suo capitale che gli viene rimborsato e non solo, come dovrebbe normalmente essere, sul rendimento da cedola.

Nel “vecchio mondo, con tassi di rendimento bassissimi, la promessa della cedola era già saltata in partenza. Nel “nuovo mondo” con cedole sì più attraenti ma con forte volatilità anche sul fondo stesso, la promessa contenuta nel fondo a scadenza con cedola rischia di saltare comunque.

Il mondo dei fondi comuni d’investimento è meraviglioso per molteplici motivi e può offrire reali ed importanti rendimenti al cliente. Nasconde però, anche fastidiose insidie di cui è utile essere a conoscenza.