Per noi italiani la componente immobiliare sul patrimonio complessivo riveste un peso importante che sale, a volte, oltre il 50%. Numerose statistiche e ricerche lo documentano e propongono un confronto molto chiaro rispetto ad altri Stati.

Ciò su cui vorrei portare l’attenzione è però la nostra scarsa propensione a trattare una parte così preponderante del nostro patrimonio come una risorsa della quale valutare gli aspetti economici, fiscali e successori. Prevale, nel nostro Paese, una gestione degli immobili più emotiva ed irrazionale che professionale e virtuosa. Ben lo evidenziano Andrea Eliseo, Eugenio De Vito e Luca Mercogliano nel loro stupendo articolo dell’ultimo numero di Patrimonia & Consulenza.

Noi italiani da sempre consideriamo l’immobile come il bene rifugio per eccellenza, quello che non delude mai e che offre un rendimento certo, sicuro nel tempo. L’ultimo decennio, per molti, è stato invece foriero di ripensamenti e, a volte, anche di delusioni.

La fiscalità di questo asset si è modificata sensibilmente nel tempo, i costi sono saliti e nuovi trend si stanno imponendo molto velocemente.

L’immobile fra i propri asset deriva troppo spesso da investimenti “emotivi” o da eredità ricevuta e permane fra le nostre risorse al di là di una valutazione e di una gestione professionale.

Questa, invece, impone un atteggiamento differente nei confronti di una componente così pesante rispetto al resto del patrimonio. Il primo passo, come ben sottolineano gli autori dell’articolo, consiste in una valutazione del mercato di riferimento e della sua possibile evoluzione. Le dinamiche attuali e prospettiche non sono più le stesse di qualche decennio fa. Lo student housing, fenomeni come Airbnb e Booking ed altri trend possono cambiare sensibilmente la cornice entro cui si sviluppa l’investimento. L’area geografica, che rende più o meno redditizio l’investimento, e la possibilità che ci siano zone sopravvalutate sono altrettanti elementi da valutare in una gestione professionale degli asset immobiliari. Limitarsi, come spesso accade, al solo grado di liquidabilità dell’immobile non è più sufficiente perché sono cambiate le logiche sottostanti l’investimento stesso.

Così come l’ottimizzazione fiscale non è qualcosa da sottovalutare, anche per gli immobili acquistati all’estero ed anche per la fase di trasmissione del patrimonio immobiliare alle generazioni successive. Fa parte della ratio economica sottostante l’investimento che occupa una porzione così importante del tuo patrimonio complessivo.

Infine, una gestione oculata e professionale degli asset immobiliari, ricordano gli autori, deve mirare ad evitare il pericolosissimo fenomeno della comunione ereditaria. Personalmente lo considero uno dei più grandi rischi legati all’immobile in quanto foriero di possibili liti che ingessano la gestione dell’immobile stesso. Pensate a quante cause riempiono i tribunali perché coloro che hanno ereditato insieme uno stesso immobile non trovano alcun tipo di accordo sulla relativa gestione. Come già scritto in alcuni miei articoli, le liti nascono non perché siamo nati litigiosi … tutt’altro. Ma nel tempo e nella vita le persone maturano esigenze ed aspettative differenti e quando esse non combaciano più, a volte, l’unica via è quella che porta in tribunale e allo stallo dell’immobile. Fermo, senza alcuna possibilità di essere ristrutturato, venduto o affittato in attesa di una decisione del giudice che arriva dopo troppi anni. Anni in cui l’immobile si è deteriorato ed ha perso valore per le mancate cure.

Il mantenimento dell’unitarietà, a volte, è addirittura fondamentale per l’esistenza stessa di altre realtà. Si pensi al caso, neanche troppo isolato, del complesso immobiliare strumentale all’attività aziendale. E’ un esempio calzante e significativo quello scelto dagli autori dell’articolo. A volte, infatti, accade che il complesso immobiliare strumentale sia oggetto di spin-off per essere utilizzato come “compensazione” nel passaggio

generazionale dell’azienda trasmessa con patto di famiglia. Ne possono derivare grandi inefficienze o addirittura una diminuzione del patrimonio complessivo.

Ed allora ripropongo la mia domanda: vorresti che oltre il 50% del tuo patrimonio fosse gestito seguendo una logica casuale ed emotiva piuttosto che professionale e virtuosa?