Conviventi per scelta o per impossibilità ad accedere ad un altro modello famigliare è secondario … ciò che conta è conoscere le peculiarità di ciò che vuol dire essere conviventi per poterne trarne i possibili benefici e scansarne i pericoli.

Pur essendo un modello famigliare molto diffuso (si annoverano circa un milione di convivenze nel 2014), non esiste ad oggi una disciplina organica che lo regola ed è necessario, pertanto, fare riferimento a vari interventi giuridici, l’ultimo dei quali è individuabile nella Legge Cirinnà introdotta nel 2016.

Da questa confusione nella regolamentazione deriva, probabilmente, la minor tutela dei soggetti conviventi: situazioni come lo scioglimento della convivenza stessa o come quella del convivente superstite alla morte dell’altro, non sono normate in modo adeguato ad offrire protezione ai soggetti coinvolti.

In ogni caso, se sei convivente, la prima cosa che devi fare affinchè la tua famiglia esista anche per la legge è comunicarlo all’anagrafe del comune di residenza. In questo modo la convivenza risulta dal certificato dello stato di famiglia e ti sono riconosciuti alcuni diritti “base” cui altrimenti non avresti accesso. Mi riferisco, per esempio, al diritto per le detrazioni per i figli a carico o al diritto alla detrazione per spese di ristrutturazione dell’immobile per il convivente non proprietario o al diritto di proporre istanza per la nomina dell’amministratore di sostegno del partner o ancora al diritto a subentrare nel contratto di locazione intestato al convivente che è venuto a mancare.

In alternativa, cioè se non comunichi all’anagrafe la tua convivenza, non violi chiaramente nessuna regola ma il tuo modello famigliare non ha alcun minimo riconoscimento giuridico.

Sotto il profilo patrimoniale non esisteva nessuna norma, fino alla legge Cirinnà, che regolava la convivenza; anche quest’ultima, purtroppo, non si occupa di alcuni aspetti, trattati invece per altri modelli famigliari, e per i quali pertanto è necessario che sia tu, convivente, a colmare la lacuna.

La legge Cirinnà individua nel “contratto di convivenza” lo strumento con il quale regolare i rapporti patrimoniali durante la convivenza stessa, scegliere il possibile regime di proprietà dei beni e definire gli accordi nell’ipotesi di scioglimento della convivenza. Rimane completamente esclusa, a livello regolatorio, la fase della successione e la conseguente tutela per il convivente superstite. Quella stessa tutela che è invece prevista in modo estremamente preciso dal nostro ordinamento per il coniuge e, grazie alla legge Cirinnà, per l’unito civilmente, il quale viene pertanto equiparato alla figura del coniuge per le questioni successorie.

Un impianto sostanzialmente differente, da valutare con cura.

Il contratto di convivenza ti consente di disciplinare in modo dettagliato le modalità di gestione della vita famigliare. Ciò che prima del contratto di convivenza era “prassi” oggi è regolato e dal contratto derivano veri e propri obblighi giuridici.

I conviventi possono formalizzare nel contratto che il regime patrimoniale scelto è quello della comunione. Ciò significa che senza contratto, ciò che viene acquistato è ritenuto di proprietà del convivente che ha concluso l’acquisto del bene anche se l’altro convivente ha partecipato all’acquisto. Chiaro che i problemi possono sorgere nell’ipotesi in cui fra i conviventi si incrini il rapporto e non c’è nessun “contratto” che regola la proprietà dei beni acquistati insieme. Il regime di comunione scelto e formalizzato nel contratto ovvia al problema. Di contro, nei confronti dei creditori i conviventi che hanno scelto la comunione dei beni sono responsabili non solo per la propria quota ma per l’intero: di questo si dovrebbe tenere sempre conto, soprattutto quando un convivente (ma anche un coniuge) svolge una libera professione oppure un’attività imprenditoriale per cui risulta esposto ad un rischio “professionale” che può impattare il patrimonio “famigliare”.

Il contratto di convivenza può contenere anche regole che disciplinano la fine della convivenza. Mi riferisco in particolare alla possibilità di definire un accordo per un assegno di mantenimento a favore di uno dei due conviventi. Sarà invece il giudice a stabilire eventualmente a carico di un convivente l’obbligo di dare all’altro gli alimenti, sempre che sia verificabile lo stato di bisogno e che il convivente beneficiario non abbia i mezzi per sostenersi. Ricordati di segnalare all’ufficio anagrafe la cessazione della tua convivenza…

Un buon contratto di convivenza può dunque rappresentare un’ottima forma di tutela per il convivente, nella consapevolezza, però, che non è esaustivo di tutti gli aspetti della vita. Ciò che assolutamente non può essere parte del contratto di convivenza, infatti, è, come sottolineato qualche riga sopra, l’aspetto successorio legato alla dipartita di uno dei due conviventi.

A “sistemare” questo aspetto devi intervenire tu, convivente, con strumenti e strategie adeguate. Il rischio, altrimenti, è di lasciare il tuo partner, colei/colui con cui hai condiviso una vita, magari dei figli, senza alcun diritto successorio, solo perché hai scelto o hai dovuto scegliere la convivenza anziché il matrimonio o l’unione civile.

Il convivente risulta essere un estraneo rispetto al partner che è venuto a mancare. Cosa significa? Significa che, se il convivente defunto non ha fatto testamento e non si è adoperato in alcun modo in questo senso, il convivente superstite non eredita nessun immobile o quota di immobile, non eredita denaro e, più in generale, non eredita nulla di riconducibile al convivente defunto. Può solo subentrare nel contratto di locazione o continuare a vivere nell’abitazione del convivente defunto fino ad un massimo di 5 anni, per un periodo minimo di 3 anni se ci sono figli minori o disabili. E se i conviventi avevano acquistato l’abitazione in comproprietà? Per il 50% diventano proprietari dell’immobile gli eredi previsti dalla legge: figli, se ci sono, fratelli e genitori, se in vita, e via dicendo secondo la tabella prevista dalla legge. Tutti in comproprietà, insieme al convivente superstite… Quest’ultimo inoltre non ha diritto al TFR e nemmeno alla pensione di reversibilità. Sufficiente per provare a tutelare il proprio partner convivente prima di lasciarlo in difficoltà?

Tutelare il proprio convivente si può: il nostro ordinamento prevede molteplici strumenti, ciascuno con i propri plus e i minus. In particolare, ti sottolineo che devi prestare attenzione al fatto che, essendo il convivente un estraneo dal punto di vista successorio, non è prevista per lui (lei) nessuna franchigia e ciò che riceve è assoggettato all’imposta di successione con aliquota massima indicata dal nostro ordinamento nella misura dell’8%.

Testamento, diritto di usufrutto, atto di destinazione, polizze, trust… Gli strumenti esistono. Basta saperli utilizzare per costruire la migliore strategia per te ed il tuo (la tua) convivente.

Chi ha tempo, non aspetti tempo…